Audace e indipendente, phèdre nó delaunay ha lottato a lungo per raggiungere la libertà. Abbandonata dalla madre a quattro anni e deputata quindi a servire in una delle case, phèdre ha infatti capovolto il suo destino, diventando non soltanto una delle cortigiane più ammirate di terre d'ange, ma anche un'abilissima spia. E, grazie alle sue capacità, è riuscita a salvare il proprio paese dalla rovina e a sconfiggere una nemica formidabile, l'affascinante nobildonna mélisande shahrizai, che, dopo essersi sottratta alla condanna a morte, ha trovato rifugio nella repubblica della serenissima. Quando però mélisande fa consegnare a phèdre un mantello sangoire, la giovane non ha dubbi sul significato di quel gesto: nel cuore di terre d'ange vive un traditore, qualcuno cosi vicino al trono da poterlo toccare, e lei è l'unica in grado di fermarlo, sempre che accetti la sfida lanciata dalla nobildonna, abbandonando l'uomo che ama e calandosi di nuovo in un mondo in cui gli inganni e i tradimenti sono moneta corrente. Un universo animato da pirati e cortigiani, cavalieri e poeti, e percorso da una vena sensuale.
L'adolescenza di miriam/maria smette da un'ora all'altra. Un annuncio le mette il figlio in grembo. Qui c'è la storia di una ragazza, operaia della divinità, narrata da lei stessa. L'amore smisurato di giuseppe per la sposa promessa e consegnata a tutt'altro. Miriam/maria, ebrea di galilea, travolge ogni costume e legge. Esaurirà il suo compito partorendo da sola in una stalla. Ha taciuto. Qui narra la gravidanza avventurosa, la fede del suo uomo, il viaggio e la perfetta schiusa del suo grembo. La storia resta misteriosa e sacra, ma con le corde vocali di una madre incudine, fabbrica di scintille. L'enorme mistero della maternità. Una lettura della storia di maria che restituisce alla madre di gesù la meravigliosa semplicità di una femminilità coraggiosa, la grazia umana di un destino che la comprende e la supera. De luca al vertice della sua sapienza narrativa.
A kalaw, una tranquilla città annidata tra le montagne birmane, vi è una piccola casa da tè dall'aspetto modesto, che un ricco viaggiatore occidentale non esiterebbe a giudicare miserabile. Il caldo poi è soffocante, così come gli sguardi degli avventori che scrutano ogni volto a loro poco familiare con fare indagatorio. Julia win, giovane newyorchese appena sbarcata a kalaw, se ne tornerebbe volentieri in america, se un compito ineludibile non la trattenesse lì, in quella piccola sala da tè birmana. Suo padre è scomparso. La polizia ha fatto le sue indagini e tratto le sue conclusioni. Tin win, arrivato negli stati uniti dalla birmania con un visto concesso per motivi di studio nel 1942, diventato cittadino americano nel 1959 e poi avvocato newyorchese di grido. Un uomo sicuramente dalla doppia vita se le sue tracce si perdono nella capitale del vizio, a bangkok. L'atroce sospetto che una simile ricostruzione della vita di suo padre potesse in qualche modo corrispondere al vero si è fatto strada nella mente e nel cuore di julia fino al giorno in cui sua madre, riordinando la soffitta, non ha trovato una lettera di suo padre. La lettera era indirizzata a una certa mi mi residente a kalaw, in birmania, e cominciava con queste struggenti parole: 'mia amata mi mi, sono passati cinquemilaottocentosessantaquattro giorni da quando ho sentito battere il tuo cuore per l'ultima volta'.
In una fredda mattina di gennaio del 1895, nel cortile dell'École militaire nel cuore di parigi, georges picquart, ufficiale dell'esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all'umiliante degradazione inflitta al capitano alfred dreyfus, ebreo, accusato di avere passato informazioni segrete ai tedeschi. In piazza ventimila persone urlano:
L'inalienabile aspirazione umana alla felicità, alla libertà, al riscatto, al diritto di esistere senz'altra giustificazione che la propria inviolabilità e insieme la disperata consapevolezza che rimarranno irraggiungibili: è questa la toccante confessione di uno scrittore malato del male di vivere e che ha sempre sentito di 'attirare il dolore come un amante'. Benché il nostro bisogno di consolazione non sia l'ultima opera di dagerman, appare come un vero e proprio testamento spirituale, in cui si leggono fra le righe i motivi del suo silenzio finale e del suo suicidio. Schiavo del proprio nome e del proprio talento al punto di non avere 'il coraggio di farne uso per il timore di averlo perso', ossessionato dal tempo e dalla morte, incapace di sottrarsi alle pressioni che si sente imporre dalla società e più ancora dalla propria intransigenza, resta tuttavia convinto che il valore di un uomo non può essere misurato dalle sue prestazioni e che nessuno può richiedergli tanto da intaccare la sua voglia di vivere. Vi sono sempre le parole da opporre a ogni tipo di sopraffazione, 'perché chi costruisce prigioni s'esprime meno bene di chi costruisce la libertà'. Ma se anche queste non bastano, rimane il silenzio, 'perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente'.
«i romanzieri si lasciano spesso ispirare, o addirittura ossessionare, dal ricorso di un numero, al quale prestano un valore simbolico o con cui cercano di dare ordine al mondo visibile. Scrivendo ada, si direbbe che nabokov sia stato affascinato dall'ambiguo numero due. Scritto tanto in prima che in terza persona, il romanzo fonde la mano che agisce, il cuore che soffre e l'occhio che guarda ed irride: è composto in un inglese intarsiato di russo; e abbonda di giochi verbali, dove due parole si combinano in una sola. Rifiutando il semplice uno e il dialettico tre, voci della verità umana e divina, nabokov dichiara la propria preferenza per tutto ciò che è duplice, riflesso, specchiato, congiunto, contaminato, per tutto ciò che luccica, sotto l'effetto di luci diverse». - pietro citati
«il libro di cui tutti stanno parlando. » the times «dalla birmingham postindustriale alle rivolte londinesi e all'attuale stallo politico, [middle england] include la famiglia, la letteratura e l'amore in una commedia dei nostri tempi. » the guardian «un viaggio astuto, illuminato e illuminante nel cuore della nostra attuale crisi di identità nazionale. Al tempo stesso commovente e divertente. Come ci aspetteremmo da coe. » ben elton «brillante. Lo leggi troppo in fretta, lo finisci troppo presto. » nigella lawson «la comica critica di coe di un paese diviso abbaglia. . . Da non perdere. » the bookseller in questo nuovo romanzo lo sguardo critico di jonathan coe si concentra sulle vicende di una famiglia delle midlands inglesi, per poi abbracciare gli eventi più recenti di un'intera nazione, fino al terremoto brexit del 2016. Tornano alcuni personaggi della «banda dei brocchi» e di «circolo chiuso», benjamin e lois trotter e i loro amici, che ritroviamo qui ormai alla prese con le grane dell'età che avanza. Ma l'attenzione principale del nuovo tragicomico romanzo del bardo inglese dei nostri tempi verte sui membri più giovani della famiglia trotter, come la figlia di lois, sophie, giovane ricercatrice universitaria idealista. Sophie, dopo un matrimonio un poco improbabile, fatica a rimanere fedele al marito, soprattutto da quando le rispettive idee politiche si fanno sempre più distanti. Intanto la nazione sfrigola e questioni come il nazionalismo, l'austerità, il politicamente corretto e l'identità politica incendiano il dibattito e le anime.
La nuova, attesissima favola di un autore da oltre 8 milioni di copie vendute in italia. Una storia per bambini e adulti che celebra il mito intramontabile della balena bianca. Da una conchiglia che un bambino raccoglie su una spiaggia cilena, a sud, molto a sud del mondo, una voce si leva, carica di memorie e di saggezza. È la voce della balena bianca, l'animale mitico che per decenni ha presidiato le acque che separano la costa da un'isola sacra per la gente nativa di quel luogo, la gente del mare. Il capodoglio color della luna, la creatura più grande di tutto l'oceano, ha conosciuto l'immensa solitudine e l'immensa profondità degli abissi, e ha dedicato la sua vita a svolgere con fedeltà il compito che gli è stato affidato da un capodoglio più anziano: un compito misterioso e cruciale, frutto di un patto che lega da tempo immemore le balene e la gente del mare. Per onorarlo, la grande balena bianca ha dovuto proteggere quel tratto di mare da altri uomini, i forestieri che con le loro navi vengono a portare via ogni cosa anche senza averne bisogno, senza riconoscenza e senza rispetto. Sono stati loro, i balenieri, a raccontare finora la storia della temutissima balena bianca, ma è venuto il momento che sia lei a prendere la parola e a far giungere fino a noi la sua voce antica come l'idioma del mare.
L'isola si scorge da lontano. Il mare ha il colore del verderame, la macchia tutt'intorno emana un profumo speziato, i raggi del sole, anche ora che l'estate è finita, scaldano i pochi passeggeri arrivati con la motonave. Tra loro ci sono luisa, gambe da contadina e sguardo tenace, e paolo, ex professore di filosofia con un peso nel cuore. Salgono su un furgone, senza smettere di fissare le onde. Quella bellezza però non li culla, li stordisce. Non sono in vacanza. Sono diretti al carcere di massima sicurezza dell'isola: lei, oltre il vetro del parlatorio, vedrà un marito assassino, lui un figlio terrorista. Ogni volta le visite acuiscono il senso di lutto che li avvolge. E sono soli nel dolore: siamo alla fine degli anni settanta e per loro non ci può essere pietà pubblica. Il maestrale li blocca sull'isola dove li scorta nitti, un agente carcerario che cela un'inaspettata verità. Dopo il loro incontro, le esistenze di paolo e luisa non saranno più le stesse. Con questo romanzo francesca melandri continua la sua ricerca tra gli interstizi della storia, raccontandoci anni che pesano anche se li vogliamo lontani, inattuali. Il suo sguardo recupera le vite dei parenti dei colpevoli, vittime a loro volta ma condannate a non essere degne di compassione. E le accompagna fino a una notte in cui i destini che sembravano scritti si prendono la loro rivincita.